giovedì 1 aprile 2010

Recensione Black Time-Double Negative



Black Time
Double Negative
(In the Red)2008
Punk-noise-lofi-creep

Un mixer rotto. Dentro una caverna. La luna piena. Gli astronauti. B-movie a go go.
Non si parla di politica ma del terzo lp dei Black Time, trio basato a Londra che ha visto una interessante riduzione di decibel negli ultimi tempi. A confronto delle prime due opere : Black Out (In the Red, 2005) e Midnight World (In the Red, 2006) qui il gruppo tende ad un alleggerimento della propria cifra stilistica, non tanto da un punto di vista delle influenze, quanto del rumore prodotto. I punti di riferimento sono sempre molto chiari, quando leggibili tra la sporcizia e le stonature: il garage rock di Detroit trasposto nel secondo millennio. Nel passaggio fra un’epoca e l’altra si è tralasciata qualsiasi forma di innovazione tecnologica, tranquillamente rimpiazzata dagli escamotage tipici di un’etica DIY fortunatamente dura a morire.
Per i fan dei Country Teasers, Gories, Black Lips e anche per chi non ha perso memoria dello Screaming Lord Sutch più teatrale questo disco sarà un’appetitosa scoperta: echi di hammond arrugginito misti ad una batteria scheletrica quanto inumana in certi punti, facilmente confondibile con una drum machine scassata, si profilano su 3 accordi robusti e taglienti che quando non fanno impazzire le sinapsi (“hostile”, “problems”)riescono a regalare momenti più notturni e melodici (“the days are too long” o la bellissima “I’m gonna haunt you when I’m gone”), o più semplicemente eccitare i nostri muscoli con brani più propriamente punk ( “six feet below”, o la crampsiana “skeleton factory”).
Questa descrizione non copre però un altro elemento caratteristico di questa band, ovvero lo stile sghembo e irrazionale delle composizioni. Non è possibile aspettarsi per tutta la durata del disco una semplice struttura lineare ma un continuo copia-taglia-cuci di diverse voci e melodie\anti-melodie; fino ad arrivare ai due pezzi più rarefatti e quasi “wave” dell’opera: “a boring day for the boredom boys” e “Blot out the Sun”. La prima una specie di spoken-word dai connotati sociali, la seconda una lenta agonia ubriaca di batteria stanca e chitarra svogliata.

Un disco ricco di farciture sixties ma che riesce a coinvolgere senza sfruttare nostalgie e stereotipi risibili e avvizziti, soprattutto per una band che ha ancora molto da dirci.
ecco il link myspace xxx

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