giovedì 18 marzo 2010

Recensione SHIFTLESS DECAY: NEW SOUNDS OF DETROIT



Detroit, la città di MC5, Iggy & The Stooges, della Motown, è ammalata. Apatica, avara, paurosa, disperata, senza istruzione, chiusa in sé e divisa fra etnie, senza lavoro e contagiata dal caos più corrotto e viscido, nelle scuole, nelle istituzioni. Detroit ha un futuro? Se lo chiede anche Scott Dunkerles, aka Mr.X!, l’uomo dietro all’etichetta che pubblica questa antologia-introspettiva della scena musicale di Detroit dal 2005 fino al 2009.
Un antologia che ha un’anima di urgenza, di bisogno di identità. Non si celebra al suo interno l’orgoglio di una scena, di un movimento, o la curiosità zelante del curatore, ma il desiderio di aggregarsi, di evitare l’isolamento e l’annullamento in una città che sta scomparendo culturalmente ed economicamente. Nelle note di accompagnamento al disco lo spazio dedicato ad un commento dei brani è minimo, si esaurisce con un “ The Time is Now” tralasciando un nota di melanconia in più.
Shiftless Decay è uscito quando nell’aria si stava già respirando il termine “shitgaze”. Questo termine, che vuol dire tutto e niente allo stesso tempo, viene usato per abbracciare un largo fronte di nuove band weird, lo-fi, punk, ricche di feedback e strumenti analogici, con un attitudine cruda, primitiva, molto DIY, nell’estetica e nella forma musicale; nel caso di questa antologia si può parlare di un approccio simile a quello appena descritto.
Tra i ritmi sincopati dei Tentacle Lizard, il punk alieno dei grandissimi Human Eye, la robotica e distruttiva deflagrazione dei Frustations (di Mr.X!), abbiamo il piacere di scoprire episodi ancor più eccentrici e inusuali come il twee pop dei Heroes & Villains, il demo dei Tyvek, che rimane sulla linea già descritta dal gruppo nel disco di debutto (Siltbreeze, 2009) ed il breve episodio schizoide dei The Mahonies, incomprensibile nel linguaggio e nella costruzione. Ma le sorprese non si limitano a questi assaggi di rumore e nell’ultima parte del disco troviamo le vere gemme di questa antologia: i Fontana con una rincorsa rockabilly distorta fra riecheggi di cori punk, la no-wave spigolosa, metallica, sferragliante di Little Claw, malato ed inquietante, fino alla jam dei Odd Clouds, dove psichedelia, jazz, noise non hanno pace.

Sembra di ascoltare una possibile colonna sonora per Crash di Ballard, e forse non siamo così lontani dal quel senso di vuoto a cui il rumore di questi artisti cerca di porre un freno.



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